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Frate Indovino

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SAN FELICE DA CANTALICE cappuccino

Felice Porri emise la professione religiosa tra i Cappuccini nel 1545 ed esercitò quasi esclusivamente, per 40 anni a Roma, l’ufficio di questuante. Un frate con la bisaccia sulle spalle, scalzo, i calcagni solcati da grossi spacchi che si cuciva da sé con ago e spago da calzolaio, sempre gioioso e pronto alla battuta sapiente e arguta. Quando passava per le strade e le borgate di Roma, i bambini gli correvano incontro per fargli festa e spizzicare qualcosa dalla sua bisaccia; e quando si diffuse la notizia della sua morte la gente prese a scavalcare anche le mura del convento, per venerarne la salma. Numerosi gli episodi che si raccontano di lui e che emanano il profumo dei fioretti. Come quando i ragazzi del Collegio Romano gli infilarono un “giulio” (moneta dell’epoca) nella bisaccia. Fra’ Felice, che non voleva sapere niente di denaro, cominciò a sentire la bisaccia che si faceva sempre più pesante. Corse alla chiesa più vicina, rovesciò tutto a terra e trovò la moneta, responsabile di tutto quell’incomodo. Un giorno, si trovava in casa dell’avvocato Bernardino Biscia quando fu portata una giovenca. Sentendola muggire, fra’ Felice disse all’avvocato: «Messer Bernardino, intendi il linguaggio di quella vitella? Ti chiede di dar ragione a chi te la manda. Stai attento che non si converta a tua dannazione il giorno del Giudizio». Egli non aveva paura di nessuno. Al terribile Sisto V predisse il papato dicendo: «Quando sarete Papa, fate da Papa per la gloria di Dio e il bene della Chiesa. Altrimenti è meglio che restiate semplice frate». E quando il Papa lo incontrava, voleva una delle sue pagnotte questuate in città e la mangiava con devozione alla mensa papale. Un giorno, fra’ Felice gliene diede una nera nera: «Scusate, Santo Padre, ma pure voi siete frate». Sono passate alla storia le scenette tra lui e san Filippo Neri quando si incontravano. Fra’ Felice offrì da bere a san Filippo nella sua zucca: «Bevi, e vedremo se sei veramente mortificato». E Pippo buono cominciò a bere sul serio. Poi restituì lo scherzo a fra’ Felice infilandogli in testa il suo cappello. «Se me lo rubano o me lo fan volare», diceva Felice, «il danno sarà tutto tuo». E la gente sorrideva ammirata: «Un Santo dà da bere a un altro Santo!».
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SAN CRISPINO DA VITERBO cappuccino

Pietro Fioretti nacque a Viterbo nel 1668. Lavorò fino a 25 anni nella bottega dello zio calzolaio, per poi entrare tra i Cappuccini prendendo il nome di fra’ Crispino da Viterbo. Per 40 anni esercitò l’ufficio di cercatore a Orvieto. Godeva di una popolarità incredibile, anche tra personalità eminenti, non solo per la sua amabilità nel conversare, o nel recitare ottave del Tasso, ma anche per i miracoli, che lui attribuiva sempre alla Madonna. Dopo aver guarito il cameriere personale del Papa Clemente XI, si sentì dire dal medico dello stesso Papa: «Così la vostra trïaca ha più virtù di quella di noi medici?». E fra’ Crispino: «Caro Monsignore, voi siete dotto, e lo sa tutta Roma; ma la mia Madonna ne sa più di tutti voi medici messi insieme». La maggior parte del tempo la passava tra la gente. Questuava soltanto il necessario per il convento. A chi lo forzava a prendere il di più, diceva: «E che, volete essere soltanto voi ad andare in Paradiso?». Questuò più per la grande famiglia orvietana che per i frati. Attingeva da tutti, ma a un nobile che chiedeva di essere guarito rispose che, se voleva la guarigione del corpo, doveva prima preoccuparsi di risanare l’anima, pagando i suoi creditori. Era anche l’uomo della pace. Egli era un misto di ingenuità, di mitezza e di cortese cavalleria. Per ogni situazione aveva le sue battute. Diceva: «Se vuoi salvarti l’anima devi voler bene a tutti, dir bene di tutti, fare del bene a tutti». Quando andò a visitare il cardinale Gualtieri, questi gli chiese perché non si fosse vestito in maniera più decente. Fra’ Crispino, allargando il mantello che necessitava di qualche rammendo, rispose: «Ma questo riluce da tutte le parti». Lui si proclamava “l’asino del convento”. Quando lo aiutavano a caricare la bisaccia diceva: «Carica l’asino e va alla fiera». A chi gli chiedeva perché non si coprisse mai il capo, rispondeva: «Perché siamo sempre alla presenza di Dio». Previde e predisse il giorno della sua morte. Né il 17, né il 18 maggio, ma il 19: per non turbare la festa di san Felice da Cantalice. Il suo corpo rimase sei giorni esposto alla venerazione dei fedeli, che poterono vedere in lui una delle più splendide figure di santità cappuccina.
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SAN BERNARDINO DA SIENA sacerdote
Rimase presto orfano e fu allevato dagli zii a Siena. Qui si dedicò allo studio delle Sacre Scritture e della teologia. Nel 1402 entrò nel convento di San Francesco in Siena. Proseguì i suoi studi, curando i grandi dottori della Chiesa, i teologi, gli asceti, soprattutto francescani. Più tardi, iniziò una predicazione strepitosa, percorrendo tutta l’Italia, componendo odi, delineando pace fra fazioni, suscitando vocazioni con un parlare rigoroso, ma semplice. A tutti propose un unico emblema: il trigramma del nome di Gesù. L’IHS in un sole raggiante acrostico di Iesus Hominum Salvator. Dovette sopportare tre processi dai quali emerse sempre la sua perfetta ortodossia. Nominato Vicario Generale di tutti i conventi dell’Osservanza in Italia, si diede a rinnovare lo spirito della Regola Francescana, preoccupandosi della formazione dei frati e predisponendo corsi di teologia e diritto. Morì a L’Aquila dove, davanti al corpo grondante prodigiosamente sangue, i rissosi cittadini si pacificarono.
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SANTA RITA DA CASCIA vedova religiosa
Santa Rita visse tra il XIV ed il XV sec. Fu data in sposa ad un uomo violento, coinvolto in faide tra famiglie, che ella sopportò pazientemente, senza mai abbattersi e pregando. Rita riuscì a rendere più docile il marito che venne però ucciso per una vendetta. Nei due figli si accese la rabbia ed il desiderio di vendicare il padre. Fu così che Rita, nel timore di perdere i figli, pregò il Signore di prenderli con sé. Dopo poco, i due si ammalarono e morirono. Rimasta sola, assecondò la propria vocazione religiosa ed entrò nell’Ordine di Sant’Agostino, avendo perdonato i responsabili di tanta violenza. Nel Monastero condusse una vita umile, modesta, caritatevole. Un giorno, mentre era davanti al Crocifisso, le si conficcò una spina della corona di Cristo nella fronte, segno della condivisione dei dolori della Passione.
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BEATA VERGINE MARIA AUSILIATRICE
“Auxilium Christianorum”, ossia “Aiuto dei Cristiani”, è il bel titolo dato alla Vergine Maria in ogni tempo. L’azione mediatrice e soccorritrice della Madonna per chi la invoca è costante. Fummo affidati a lei come figli da Gesù sulla Croce e, contemporaneamente a noi lei è stata donata come madre, attraverso Giovanni apostolo, che vegliava ai piedi della Croce. Il titolo “Auxilium Christianorum” sembra si debba all’invocazione del Papa mariano san Pio V, che le affidò le armate e le sorti della Cristianità, minacciate dai turchi. E nella grande battaglia navale di Lepanto la flotta musulmana fu sconfitta. Il Papa, in segno di gratitudine per questa gloriosa vittoria, istituì la festa del Santo Rosario. I reduci vittoriosi, di ritorno dalla battaglia, si fermarono a Loreto per ringraziare la Madonna, la Protettrice, che invocarono appunto come “Auxilium Christianorum”. La gioia del popolo cristiano è riassunta nell’espressione: “Né potenza, né armi, né condottieri ci hanno condotto alla vittoria, ma Maria del Rosario” e così tra i diversi titoli riconosciuti a Maria si aggiunse “Auxilium Christianorum”, “Aiuto dei cristiani”. Nell’Ottocento, san Giovanni Bosco propagò la devozione per la Maria Ausiliatrice. Egli pose la sua opera sotto la sua protezione e il suo aiuto e a lei si rivolgeva per ogni necessità. Il laborioso sacerdote vide così fiorire le opere assistenziali a favore dei ragazzi della sua Congregazione, la Famiglia Salesiana, che sempre si affida all’aiuto della più dolce e potente delle madri.
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SAN BEDA VENERABILE dottore
Beda, orfano a sette anni, venne ospitato nell’abbazia benedettina di Jarrow, in Inghilterra. A diciotto anni vestì il saio benedettino. Da allora, condusse una vita organizzata esclusivamente tra la preghiera e il lavoro, secondo lo spirito ereditato dal fondatore: “Ora et Labora”. Il suo impegno nello studio fu tutto dedicato alla gloria di Dio e per l’edificazione degli uomini. L’opera più grande fu il commento alle Sacre Scritture, opera illuminata in cui riuscì, in maniera prodigiosa, a cogliere una lucida panoramica su vari filosofi, poeti, padri e dottori della Chiesa. Altre sono le opere scritte da Beda, altrettanto rilevanti, compiute con la coscienza di indagare la verità, composte con rettitudine, con sincerità di spirito, con stile semplice. Questa sua speculazione intellettuale gli conquistò, già in vita, il titolo di “Venerabile”. Morì cantando il “Gloria Patri”, magnifica lode al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.
Domenico Cavalca racconta nella sua storia di san Beda, “il venerabile presbitero”, una leggenda. San Beda era quasi cieco e un suo assistente per scherzare lo portò a predicare davanti a un grosso cumulo di pietre, facendogli credere che fosse una folla di fedeli. Quando il predicatore di Cristo si infervorò e dichiarò con forza: "Queste cose che vi dico sono vere", le pietre risposero in coro: "È veramente così, venerabile padre". Si può proprio dire che la voce della fede commuove anche i cuori delle pietre.
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Zac

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SAN BEDA VENERABILE dottore
Beda, orfano a sette anni, venne ospitato nell’abbazia benedettina di Jarrow, in Inghilterra. A diciotto anni vestì il saio benedettino. Da allora, condusse una vita organizzata esclusivamente tra la preghiera e il lavoro, secondo lo spirito ereditato dal fondatore: “Ora et Labora”. Il suo impegno nello studio fu tutto dedicato alla gloria di Dio e per l’edificazione degli uomini. L’opera più grande fu il commento alle Sacre Scritture, opera illuminata in cui riuscì, in maniera prodigiosa, a cogliere una lucida panoramica su vari filosofi, poeti, padri e dottori della Chiesa. Altre sono le opere scritte da Beda, altrettanto rilevanti, compiute con la coscienza di indagare la verità, composte con rettitudine, con sincerità di spirito, con stile semplice. Questa sua speculazione intellettuale gli conquistò, già in vita, il titolo di “Venerabile”. Morì cantando il “Gloria Patri”, magnifica lode al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.
Domenico Cavalca racconta nella sua storia di san Beda, “il venerabile presbitero”, una leggenda. San Beda era quasi cieco e un suo assistente per scherzare lo portò a predicare davanti a un grosso cumulo di pietre, facendogli credere che fosse una folla di fedeli. Quando il predicatore di Cristo si infervorò e dichiarò con forza: "Queste cose che vi dico sono vere", le pietre risposero in coro: "È veramente così, venerabile padre". Si può proprio dire che la voce della fede commuove anche i cuori delle pietre.
Vedi l'allegato 2235355
Tra i tanti santi questo è uno che non avevo mai sentito.....la leggenda di cui si parla rimane, per me, una leggenda, un cuore di pietra non si potrà mai commuevere
 

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SAN FILIPPO NERI sacerdote
San Filippo Neri nacque, nel 1515, da distinta famiglia fiorentina, allegro e generoso di carattere. Ancora giovane, abbandonò gli affari di famiglia e si recò a Roma dove seguì gli studi di teologia, maturando una forte esperienza spirituale e mistica. Consacrato sacerdote, avviò un’attività pastorale volta alla direzione spirituale dei meno abbienti: visitava i quartieri poveri, i malati negli ospedali abbandonati, le carceri. Predicava per le strade con spirito gioviale, con spirito nuovo e da qui conquistò la simpatia della città. Raccolse intorno a sé i ragazzi orfani e dispersi, si dedicò alla loro cura per evitare che si perdessero a causa del male diffuso, organizzandoli nella “Congregazione dell’Oratorio”. Qui Filippo parlava loro del Signore, li educava e li istruiva, facendoli anche divertire e cantare, ma fulcro principale su cui si fondava l’Opera era il compiere le opere di carità, soprattutto si prestava aiuto ai pellegrini e ai convalescenti. Per questi ragazzi Filippo girava la città e faceva la questua. Egli trascorreva molte ore in preghiera e si distinse per la letizia d’animo, l’amore verso il prossimo e la semplicità evangelica. Amato e ammirato, si spense ottantenne e i medici, alla sua morte, gli trovarono un cuore di volume insolitamente grande, colmo d’amore verso Dio e gli uomini.
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SANT’AGOSTINO DI CANTERBURY vescovo
Agostino, abate benedettino e primo arcivescovo di Canterbury, nato a Roma nel 534, è venerato come santo sia dai cattolici che dagli anglicani. Fu inviato in Inghilterra da Papa Gregorio I, nel 597, su richiesta del re pagano del Kent, Etelberto, il quale avendo sposato Berta, la figlia cristiana del re di Francia, permise alla moglie la fondazione di una piccola comunità cristiana. Agostino, messosi in viaggio, tornò presto indietro spaventato dalla crudeltà dei Sassoni. Però Gregorio I riuscì a farlo ripartire, perché Etelberto e i suoi sudditi avevano chiesto il battesimo. Agostino divenne primate d’Inghilterra e ricostruì a Canterbury una chiesa che divenne cattedrale e fondò un monastero. Cercò invano di riunire le comunità dei monaci irlandesi a quelle cristiane. Agostino fu una figura fondamentale per l’evangelizzazione della Gran Bretagna ed è conosciuto come l’Apostolo d’Inghilterra.
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29 Maggio 2022 Ascensione del Signore/C dal Vangelo di Luca (Lc 24,46-53)

«Mentre li benediceva veniva portato verso il cielo»

L’evangelista Luca ci ha lasciato due racconti dell’Ascensione del Signore che presentano lo stesso avvenimento in una luce diversa: nel Vangelo è il racconto del finale glorioso della vita pubblica di Gesù; negli Atti degli Apostoli è il punto di partenza dell’espansione missionaria della Chiesa. L’Ascensione al cielo del Signore Risorto, «quaranta giorni» dopo la Pasqua, segna la conclusione di una fase della storia della salvezza e l’inizio di un’altra. Quel Gesù con il quale i discepoli hanno «mangiato e bevuto» continua la sua permanenza invisibile nella Chiesa. Essa è chiamata a continuare la missione e la predicazione del Cristo e riceve il compito di annunciare il Regno e rendere testimonianza al Signore. A Pentecoste con il dono dello Spirito Santo la comunità dei credenti, piena di slancio missionario e di gioia pasquale, diventa così nel mondo testimone della vita nuova realizzata nel Cristo Risorto. Gesù è storicamente e sacramentalmente presente in mezzo ai suoi soprattutto nella celebrazione eucaristica. L’assemblea che si riunisce per l’azione liturgica diventa testimonianza e annuncio del Signore Gesù, realizzando la Sua promessa: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo».
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SAN FERDINANDO III re di León e di Castiglia
Ferdinando nacque nel 1198, figlio di Alfonso IX, re di León, e di Berengaria, regina di Castiglia. Egli succedette al trono di entrambi i genitori, unificandoli così in un unico regno. Portò guerra contro i Mori, non solo liberando la Spagna dagli invasori, ma annientando il loro potere, scopo principale delle Crociate. Ferdinando riuscì a portare a termine quella che è stata chiamata la “Riconquista”. Fu un governante modello, ma anche uomo esemplare dai sani principi cristiani. Nutriva una particolare devozione per la Madonna e considerava il suo regno un dono concessogli dal Signore, tanto da ringraziarlo per ogni azione ad esso legata. Al Signore chiese perdono con umiltà al momento della sua morte, avvenuta nel 1252. Le virtù riconosciutegli, purezza nei costumi, prudenza, eroismo, generosità, mansuetudine, spirito di servizio verso il suo popolo, saggezza nel governare, vissute con zelo, gli hanno fatto percorrere il cammino di santità fino al raggiungimento della perfezione morale e diventare un modello di sovrano e governante cristiano.
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VISITAZIONE DELLA B. V. M. A SANTA ELISABETTA
Dopo l’annuncio dell’Angelo, Maria si mise in viaggio per fare visita alla cugina Elisabetta, anch’essa in attesa, e portarle aiuto. Forse si unì a una carovana con cui attraversare la Samaria e giungere in Giudea, dove abitava la famiglia di Zaccaria. Quali sentimenti invadevano il suo animo per quanto le stava accadendo, mentre meditava il mistero annunciatole dall’angelo. Erano sentimenti di umile riconoscenza verso la grandezza e la bontà di Dio, che Maria espresse alla cugina cantando l’inno del Magnificat, ossia lodando l’amato con amore gioioso: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore…”. Elisabetta, ispirata dalla grazia che Maria portava nel grembo, avvertì il grande mistero che operava nella cugina: la sua dignità di Madre di Dio, la sua fede nella parola divina e la santificazione del precursore, che esultava di gioia nel seno della madre. Maria rimase con Elisabetta fino alla nascita di Giovanni Battista. La festa della Visitazione veniva già celebrata dai frati minori nel 1263, il 2 luglio, secondo i calcoli, al termine della visita di Maria. Venne poi estesa a tutta la Chiesa latina da papa Urbano VI nel 1389, per propiziare, con l’intercessione di Maria, la pace e l’unità dei cristiani divisi dal grande scisma d’Occidente. Oggi, il calendario liturgico fissa la celebrazione dell’evento l’ultimo giorno di maggio, per coronare la conclusione del mese che la devozione popolare consacra al culto della Vergine.
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SAN FELICE DA NICOSIA religioso cappuccino (2 giugno)
Felice nacque a Nicosia, in Sicilia, nel 1715, in una famiglia numerosa. Il padre calzolaio decise di farlo lavorare nella calzoleria, ma nel frattempo venne in contatto con la Congregazione dei Cappuccinelli, presso il convento di Nicosia. Egli testimoniava la sua spiritualità in ogni cosa quotidiana facesse e, infine, chiese di entrare come fratello laico nell'Ordine dei Cappuccini, ma non fu accolto. Si diede alla cura della famiglia, ma alla morte dei genitori, chiese nuovamente di essere ammesso tra i Cappuccini direttamente al Provinciale e ricevette il consenso. Pronunciata la professione fu inviato nel suo stesso paese di origine, dove per 43 anni esercitò il compito di questuante. Nel convento gli furono assegnati vari lavori: portinaio, ortolano, calzolaio e infermiere, mentre fuori era questuante. Aveva una particolare predilezione per i bambini, dalle tasche tirava fuori sempre qualcosa, una noce, delle nocciole, delle fave e le regalava ai fanciulli. Piccoli regali che gli offrivano l'opportunità di dare loro una breve lezione di catechismo. Aiutava i poveri, sosteneva gli ammalati e i più bisognosi, era solito andare a trovare i carcerati.
Era trattato duramente dai superiori, spesso umiliato, ma fra’ Felice rispondeva: "Sia per l'amor di Dio". Amava distribuire delle striscioline di carta sulle quali scriveva le invocazioni alla Beata Vergine: erano per lui il rimedio per tutti i mali. Le appendeva alle porte delle abitazioni dei malati, dei poveri, dei bisognosi. Eventi miracolosi si susseguivano lì dove egli operava il bene e ciò accresceva la sua fama. In età avanzata, terminati i compiti più pesanti, si dedicò alla preghiera. Negli ultimi giorni di vita raccomandò la sua anima a san Francesco e alla Madonna e, chiuse gli occhi dopo aver chiesto al superiore l’obbedienza di morire.SmartSelect_20220602-083030_Facebook.jpg
 

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SAN CARLO LWANGA e COMPAGNI martiri
Verso il 1880, giunse in Uganda, regione dell’Africa nera, un gruppo di religiosi inviati dalla Francia. Costoro furono ben accolti dal sovrano che li chiamò Padri Bianchi. La missione aveva successo, molte furono le conversioni e i battesimi. Il nuovo sovrano, però, non fu favorevole alla presenza dei missionari. Questo re era incline al vizio e la presenza dei Padri Bianchi valeva per lui come un rimprovero. Inoltre, il re faceva affari vendendo i suoi sudditi più robusti come schiavi, mentre i missionari erano contrari alla schiavitù. I Padri Bianchi furono costretti ad abbandonare l’Uganda, ma un gruppo di convertiti, che praticava la purezza nei costumi e la pietà nei sentimenti, continuarono l’opera evangelizzatrice. Capo di questi Compagni era Carlo Lwanga. Il sovrano infastidito, ne ordinò la tortura sui carboni ardenti. Costoro non emisero né lamenti, né parole di odio, anzi li si sentiva pregare. Il sovrano ne ordinò l’uccisione.SmartSelect_20220603-082315_Facebook.jpg
 

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PENTECOSTE
Con la Pentecoste si viene a stabilire la nuova realtà della Chiesa, frutto della risurrezione e del dono dello Spirito: lo Spirito dell’alleanza universale. Sul Sinai, il popolo era stato convocato in assemblea, un fuoco e un vento impetuoso avevano manifestato la presenza di Dio, Dio aveva dato a Mosè la legge dell’Alleanza; a Gerusalemme, gli apostoli erano tutti insieme nella casa in cui si manifestarono gli stessi fenomeni del Sinai, Dio dà lo Spirito della nuova Alleanza. Questa è la novità della Pentecoste cristiana: l’Alleanza nuova e definitiva è fondata sull’azione dello Spirito di Dio. “Nello Spirito Santo il Cristo risorto si fa presente, il vangelo si fa potenza e vita, la Chiesa realizza la comunione trinitaria, l’autorità si trasforma in servizio, la liturgia è memoriale e anticipazione, l’agire umano viene deificato” (Atenagora). Il battesimo nello Spirito illumina la comunità sul mistero di Cristo, Messia, Signore e Figlio di Dio; fa comprendere la risurrezione come il compimento dei progetti di salvezza di Dio per tutto il mondo. Ogni comunità è chiamata a collaborare con lo Spirito per rinnovare il mondo attraverso l’annuncio e la testimonianza della salvezza, nell’attività quotidiana come nelle vocazioni straordinarie, attraverso doni, compiti, servizi che hanno l’unica sorgente nello Spirito del Padre e del Figlio. E il medesimo Spirito fa convergere tutto all’”utilità comune”. In tal modo, la pienezza e la ricca vitalità dello Spirito si manifestano attraverso una Chiesa aperta a tutti per testimoniare nelle “opere” dei credenti la presenza di Dio nel mondo. Tutta la vita dei cristiani si svolge sotto il segno dello Spirito. “È sempre lo Spirito che conferma la nostra fede e la nostra unità. Noi siamo, in ogni istante, permeati dallo Spirito. Non vi è una riunione di preghiera, una liturgia della Parola in cui lo Spirito non agisca per permettere di pregare e di dialogare col Signore reso presente in mezzo a noi mediante la forza dello Spirito che dà vita alla parola proclamata” (A. Nocent).
Tratto dalla introduzione alla liturgia della Messa di PentecosteSmartSelect_20220605-110317_Facebook.jpg
 

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